mercoledì 10 aprile 2013

Era meglio se ci facevi una serie tv – il caso Morning Glories

Da grande ammiratore di Nick Spencer, come ho scoperto Morning Glories e ne ho letto la trama l'ho immediatamente trovato un fumetto interessante e dall'enorme potenziale.
All'epoca Lost non si era ancora concluso e Morning Glories mi fu spacciato come "il Lost del fumetto" (lo stesso Nick Spencer, avrei scoperto in seguito, definiva la sua storia come "Runaways meets Lost"). Superhype!!!
Alla presenza del primo volume non potei rimanere colpito dalla copertina di Rodin Esquejo:  ragazze fascinose e ragazzi molto yeah, che tuttavia riuscivano a non sembrare subnormali. Il tutto in uno stile grafico molto accattivante.
Poi l'ho aperto e il mondo è imploso.

Morning Glories è una serie davvero particolare, ambientata in una prestigiosa scuola per giovani talenti che custodisce segreti e misteri. Spencer ci butta in pasto un piccolo gruppo di studenti, tre ragazzi (Hunter, Ike e Jun) e tre ragazze (Zoe, Jade e Casey) e ne esplora la vita, le motivazioni, i background e le storie personali, rivelando come ognuno di loro porta con sé un bagaglio molto più grosso di quel che ci si aspetta.
Scuola dagli alti requisiti d'accesso, la Morning Glory Academy è uno di quei posti che potrebbero dare del filo da torcere alla Xavier School for Gifted Youngsters (chi ha detto "Jean Grey school"?) o a Hogwarts, ospitando misteri che si infittiscono, permeano la scuola fino alla sua stessa struttura e, cosa non da poco, tendono ad aumentare di volume man mano che il lettore si addentra nella lettura. A ogni pagina aumentano gli interrogativi e la fine del primo volume porta con sé una mole di interrogativi tale da riempirci una carriola.
Verrà spiegato tutto nel secondo volume, uno pensa. E invece no, perché il secondo volume raccoglie una serie di albi che si concentrano ognuno su uno dei sei protagonisti, progredendo ben poco con la narrazione principale e aggiungendo nuovi enigmi ai precedenti.
E se sperate che il terzo volume possa essere d'aiuto nel capirci qualcosa di più... beh, io inizio a ridere ora.
Nonostante la tendenza all'accumulo degli enigmi la storia è solida, ben scritta, piacevole, coinvolgente.
Lo stile è quello delle serie tv, ed è evidente da come l'autore si prenda il giusto tempo per raccontare di un personaggio, per poi passare a un altro a un altro ancora e così via; un aspetto che raggiunge il culmine negli albi 7-12 (quelli del secondo volume, per intenderci).

Qualcuno ha detto, per caso, Lost?
Veniamo dunque al punto della questione: con tre volumi all'attivo, e il quarto in arrivo, l'impressione cresce e si consolida pagina dopo pagina. Per quanto, sostanzialmente, mi infastidisca il troppo abusato adagio "bel fumetto, dovresti farci un film/una serie televisiva", più leggo Morning Glories e più mi ritrovo a pensare "Nick Spencer, avresti dovuto farci un telefilm".
Farci.
Non trarci.
Morning Glories è la classica storia seriale da televisione, che ammassa - letteralmente - gli interrogativi, getta briciole ai lettori vincolandoli ancor di più alla narrazione, e costruisce una trama che si struttura e si espande man mano che prosegue, promettendo implicitamente la chiave di lettura nelle battute finali, di cui la conseguente rilettura dell'intera vicenda. Una storia accattivante, che trovo più fortunata nella sua edizione in volume (attendere un mese per una trentina di pagine di misteri che si sommano a misteri precedenti può rivelarsi, a lungo andare, frustrante), e che viene letteralmente storpiata dalla propria veste grafica.
Intendiamoci: un fumetto non deve avere per forza tavole dalla costruzione originale, dal tratto sempre innovativo ed elaborato, ma un conto è un disegno semplice (si pensi a Y the last man), o addirittura scarno (xkcd), ottimale per una determinata dinamica narrativa o per un particolare set di contenuti; un conto è un disegno essenziale e votato alla verosimiglianza che ben presto diventa grossolano, impreciso, talvolta affrettato, statico e legnoso.
Un fumetto racconta una storia con testo e immagini sequenziali; pur essendo frutto della sinergia di questi due elementi non è detto che il loro rapporto debba sempre essere 50/50; talvolta è la narrazione a guidare, talvolta è il disegno; in un buon fumetto le due parti sono comunque in armonia tra di loro, e collaborano al comune intento di raccontare.
Ma se uno dei due rema contro la questione si fa spinosa, ed è questo il caso di Morning Glories: storia intrigante e coinvolgente, di quelle che si fatica a giudicare se non si giunge alla fine, unita a disegni che parlano da soli; e quel che dicono non è bello. Non è il primo caso (né sarà l'ultimo) di storia che surclassa i disegni e che si mantiene a galla per la sua elevata qualità, ma non è che sia una cosa obbligatoria, ecco.
Lo leggerete, vi piacerà – magari (probabilmente) tanto – e ne sarete assorbiti. Ma durante tutto questo tempo avree costantemente una spina nel fianco, e quella spina si chiama Joe Eisma.


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Morning Glories, testi di Nick Spencer, disegni di Joe Eisma, cover di Rodin Esquejo. Image Comics; edizione italiana a cura di Panini Comics.
vol 1 - For a better future
vol 2 - All will be free
vol 3 - P.E.

venerdì 1 marzo 2013

Frankenstein, agent of S.H.A.D.E.


Allora, cerchiamo di resuscitare il cadavere.
Una metafora che, nemmeno a farlo apposta, rilancia questo nuovo ciclo (speriamo) viene inaugurato dal nuovo ciclo di un personaggio che, di fatto, incarna il rinnovamento.
Frankenstein agent of S.H.A.D.E., di Jeff Lemire e Alberto Ponticelli, a breve arriverà anche in Italia, per Lion. Considerati gli autori coinvolti non potevo attendere, e mi son buttato sul tp americano dopo aver letto alcuni numeri della serie spillata.
Tra le serie dark (vogliamo chiamarle "serie Vertigo"? facciamolo pure) di questa new wave DC, Frankenstein è quella più action, che più si discosta dalle altre per modalità narrative, atmosfere e toni. Un misto di sci-fi e horror per una serie spara e fuggi al limite dell'assurdo.
S.H.A.D.E. sta per Super Human Advanced Defense Executive, e già dal titolo si coglie (il riferimento alle tante agenzie con lunghi e improbabili acronimi salta all'occhio a chiunque abbia masticato almeno un semestre di major americane) il tono canzonatorio di Lemire a questo genere di strutture; aspetto potenziato dalle sembianze del suo direttore, Father Time (Father Timelord?) che ogni decade rigenera il suo corpo in uno nuovo, e che a questo giro si presenta come una bimbetta in divisa marinaresca. Alle dipendenze dello S.H.A.D.E. troviamo Frankenstein e il suo spadone, oltre a un nutrito gruppo di residuati scientifico-orrorifici con le sembianze dei mostri classici del cinema horror: c'è l'uomo lupo, il vampiro, la mummia e la creatura della laguna/scienziata, se non pazza, dalla dubbia moralità; personaggi non certo di facciata, cui Lemire  si premurerà di dare uno spessore interiore durante il corso del primo volume.
Tre i blocchi narrativi del suddetto primo volume: nel primo la squadra si trova a fronteggiare un'invasione di mostri pilotata da un'oligarchia di megamostri spaziali; nel secondo – di un solo numero – Frankenstein viene mandato a caccia di O.M.A.C., crestuto energumeno dalla pelle blu; nel terzo lo SHADE tutto si trova a fronteggiare gli esperimenti falliti del proprio programma di creazione superumani.
Insomma, repetita iuvant: in Frankenstein si pesta. E tanto.

Il Frankenstein di Edmond Hamilton e Bob Kane è molto vicino alla sua contropare letteraria, così come lo è quello di Len Wein. Vira dalla tradizione il Frankenstein di Grant Morrison e Doug Mahnke, una cosa tipo Conan meets Lobo meets Hellboy (on Mars); il risultato era un cappa e spada fantascientifico molto ritmato e votato allo scontro e ai fiumi di sangue.
Lemire mantiene questa logica imbrigliandola in una stuttura più gestibile e caricando maggiormente i personaggi, seppur a discapito di buona parte della carica anarchica propria di Frankenstein. Carica che ritroviamo, principalmente, nelle scene di battaglia, nelle quali Ponticelli dà il meglio di sé per resa del caos e scelta delle inquadrature (i tuffi di Frank dall'elicottero o l'intera scazzottata con O.M.A.C. sono alcuni dei momenti visivamente più goduriosi.
Gli scenari fantascientifici (reali e virtuali) sono molto suggestivi e ben si legano a uno stile ruvido; sembra di essere tornati (finalmente) al cyberpunk anni '80 ed essersi lasciati alle spalle la chiassosa fantascienza perfettina e pulitina delle ultime pellicole; che pure può esser bella, ma che sembra sempre meno in linea con la piega che gli eventi stanno prendendo.
Il disegno è vibrante, ruvido; i mostri sono strutturalmente indefiniti, sembrano più masse archetipiche di orrore grezzo che invadono le strade; le risse sono implacabili e caotici mari di sangue, metallo, laser e carne (o chi ne fa le veci).

Da questo primo volume emerge lampante una cosa: gli spiegoni fantascientifici sono il tallone d'Achille di Jeff Lemire; con l'avvio della serie Lemire si trova un sacco di cose da spiegare, personaggi da introdurre, tecnologie da semplificare, e questo rallenta enormemente il tempo della narrazione. Procede più tonico, invece, nelle parti in cui deve effettivamente far accadere qualcosa, dimostrando come anche la violenza bruta e le risse tra energumeni siano alla sua portata.

Due sono, fino ad ora, le grandi pecche della serie:
- la colorazione di José Villarrubia, che proprio no, non va bene, appiattisce, sembra il lavoro sbrigativo di un rappresentante degli Stabilo Boss (ve ne renderete conto con l'arrivo del nuovo colorista negli ultimi numeri, presentati nel secondo e conclusivo, volume);
- il lavoro alle chine (fortunatamente limitato al solo settimo capitolo di questo volume) di Walden Wong, che stonda le figure, ammazza i dettagli e si dimentica dei neri (è pur sempre una serie in parte horror, accidenti!).
Pecche sensibili, dal momento che condizionano fortemente l'aspetto visivo di un... linguaggio visivo; già.

A conti fatti: una buona prova da parte del team (o perlomeno da 2/3 del team), una serie d'azione svincolata da logiche di continuiy (per ora, con l'arrivo di Matt Kindt ai testi le trame, più strutturate e corpose, arriveranno addirittura ad intrecciarsi con quelle di Swamp Thing e Animal Man nella lotta contro la Putrefazione) e dai ritmi (quasi sempre) serrati. Se rimpiangete Lobo dovete leggerla. Se vi piace Hellboy dovete leggerla. Se pensate che il meglio della vita sia schiacciare i nemici, inseguirli mentre fuggono e ascoltare i lamenti delle loro femmine, allora dovete leggere Frankenstein agente dello S.H.A.D.E.
Amen.


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Frankenstein agent of S.H.A.D.E., di Jeff Lemire e Alberto Ponticelli, ed. RW Lion, 160 pagine a colori, € 13,95.