giovedì 19 novembre 2009

V For Vendetta

V FOR VENDETTA (1988-89; edizione italiana 2006 Rizzoli 24/7, 304 pagine in bianco e nero).
Sceneggiatura di Alan Moore, disegni di David Lloyd.


Un capolavoro. Leggetelo.

Si potrebbe chiudere qui. Il senso di qualsiasi cosa potrei scrivere in seguito ben si sintetizza in quelle tre parole. Potrei chiudere e mettermi a fare dell’altro, che il senso non cambierebbe.
Tuttavia chi mi conosce, chi mi legge o mi ha letto, chi ha parlato con me sa che, benché non generata da una totale conoscenza delle sue opere, ho il brutto vizio di incensare Alan Moore (assieme a pochi altri) e a metterlo sempre sul piedistallo più alto.
Vedendo quindi di chi e di cosa si sta parlando, queste persone potrebbero pensare “si vabbè, la solita spacconata su Moore” e per questo sceglierò di motivare quanto scritto lassù.


V for Vendetta è la prova lampante di come un fumetto possa essere intrattenimento alto e produttore di cultura. Ma ancora di più ci mostra come un fumetto possa essere eterno e contemporaneo, attuale; ci mostra come una critica di vent’anni fa sia applicabile ad una situazione storica presente e, volendo esagerare, come la storia tenda a ripetersi nelle sue situazioni cardine.
Lo stesso fil rouge scatenante è la riproposizione di una situazione storica, il tentativo di Guy Fawkes di far detonare il Parlamento inglese nella notte del 5 Novembre 1605; ed è esattamente 392 anni dopo, il 5 Novembre 1997, che il misterioso V riesce laddove Fawkes aveva fallito, annunciando così l’inizio della sua guerra alla dittatura dei Fuochi Norreni. Una guerra che vede le sue radici e motivazioni nel passato dello sconosciuto vigilante che veste i panni dell’antico rivoluzionario.
Ambientato in un’Inghilterra distopica, in cui una dittatura fascista ha preso il potere (rievocazione e denuncia dell’Inghilterra thatcheriana), V for Vendetta ci mostra una società piegata in ogni suo pilastro (le libertà personali e collettive, l’informazione, la religione, il lavoro, l’economia, l’etica e la morale). Società cui l’”eroe” – molto più vicino ad una concezione anni ’30 dell’eroe, più un Mandrake in maschera, benché con uno humour tutto personale e giochi di prestigio più pirotecnici, che un Superman – è deciso a dare una spallata. Il suo lungo persistere nel suo piano di vendetta e instaurazione di una nuova società sui detriti detonati della precedente è il chiaro segno di come il mutamento arrivi solo attraverso una “educazione al mutamento”, e non con un coup improvviso. Un’esplosione non sarebbe servita poi a molto. Una successione potrebbe fare la differenza, ma è necessario che la società ne capisca il peso e l’importanza, e sia pronta a raccoglierne l’eredità.
La dittatura è un elemento importante di tutta la narrazione, oltre a rappresentarne il setting, poiché fa chiaro riferimento all’inghilterra della fine degli anni Ottanta, con l’amministrazione Thatcher, antieuropeista (per non dire fortemente nazionalista) e settarista, volta alla creazione di una middle-class forte e privilegiata, in un circolo vizioso per cui l’una avrebbe garantito a vita l’esistenza dell’altra. Come vorrebbe Fuoco Norreno (e il suo Fato, il supercomputer da cui viene generata ogni decisione) “Strength through purity, purity through faith”. Un giro di vite fu dato anche al sistema di sicurezza nazionale, rafforzato in modo preoccupante, tanto da temere di essere sull’orlo della dittatura; tanto da convincere Moore e Lloyd (sua infatti fu l’idea di rendere V un novello Guy Fawkes) della necessità di una simile sceneggiatura di denuncia.


V for Vendetta è un’opera titanica, in cui il destino di diverse persone si intreccia e, come nelle migliori coincidenze, concorre alla creazione di un nuovo assetto sociale e culturale. Oscilla tra episodi scritti in modo “canonico” ad altri in cui forti sono l’impianto retorico e simbolico attorno a cui viene costruita la narrazione.
Lloyd. V for Vendetta non avrebbe avuto lo stesso peso, credo, non fosse stato per David Lloyd. Perché è una storia cui il disegno aggiunge moltissimo. Lo dovete leggere in bianco e nero, però, necessariamente. V for Vendetta è una storia di luci e ombre e, pertanto, è fondamentale che venga letto in bianco e nero, che è regno incontrastato di David Lloyd. Viceversa non avrebbe lo stesso impatto; il colore, in questo caso, distrae, e castra il potere grafico e narrativo di questo grande autore che, abile, prende macchie nere e macchie bianche e le dispone in un modo che una esca dall’altra e assieme creino una figura. L’intera sequenza della tortura, liberazione ed epifania di Evey non avrebbe lo stesso peso a colori; davvero, non riuscirei ad immaginarla. Lo stesso vale, ad esempio, per le due tavole quasi mute in cui V incontra Derek Almond: è il disegno che parla, è il bianco che dialoga col nero, mentre i riflessi danzano nell’oscurità e la luce brucia i contorni. Lo stile di Lloyd costringe il lettore a prestare più attenzione a quello che sta leggendo, a quello che accade; in questo modo egli è costretto a soffermarsi più tempo sulle tavole, e può così coglierne ogni dettaglio, ogni finezza, ogni particolare nell’espressione.


È interessane vedere come Moore, in un momento in cui la situazione sociale dell’Inghilterra si fa preoccupante, arrivando a minacciare una svolta totalitaria, tiri fuori dal cilindro il più grande terrorista politico britannico. La sottolineatura della situazione socipolitica è evidente e viene quasi da pensare ad un auspicio che le nuove generazioni decidano di seguire le impronte di Fawkes; fortunatamente, poi, con il passaggio di poteri dalla Thatcher a John Major non si è sentito il bisogno di un forte sovvertimento dello status quo, tanto meno con l’avvento, nel 1997, di Tony Blair.

Chi ha visto il film e l’ha apprezzato si dimentichi della sua ingenuità e si tuffi nell’intreccio. Chi ha visto il film e non l’ha apprezzato dia una possibilità a questo libro, perché ne vale veramente la pena.

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