giovedì 15 ottobre 2009

SEGRETI (LE LEGGENDE DI BATMAN n.11)

SEGRETI (LE LEGGENDE DI BATMAN n.11) (2006; edizione italiana 2007, Planeta DeAgostini, 128 pagine a colori).
Sceneggiatura e disegni di Sam Kieth.

Ho sempre trovato che il potere della DC Comics fosse negli albi non-regolari, nelle storie parallele o in quelle interstiziali, che si incuneano tra una storia e l’altra e chiarificano, svelano, approfondiscono. Credo che questo Segreti sia una di quelle storie, una storia fuori continuity ma dal grande spessore simbolico.

La trama è abbastanza semplice e, se vogliamo, canonica: il Joker, uscito di prigione, gioca a fare il pentito e, allo stesso tempo, cerca di incastrare Batman in una serie di crimini. Per fare ciò è aiutato da Terry,
assistente del defunto procuratore distrettuale infatuatasi del criminale, e, anche se non del tutto volontariamente, Mooley Williams, amico d’infanzia di Bruce Wayne e capo-redattore del “Sentinel”.
A fianco del complotto per incastrare Batman e al fil rouge del segreto, che attraversa tutta la storia creando un piacevole collegamento tra il passato e il presente, troviamo quindi un’interessante speculazione sul mondo dell’informazione. L’informazione che fa di tutto pur di emergere, anche raccontare notizie false o alterate; la facile manipolabilità dell’informazione fotografica e la maggiore attendibilità di quella video (Kieth rilegge Peter Burke?), e come l’informazione manipolata venga utilizzata per pilotare l’opinione pubblica in un mondo in cui i media, abbattendo i confini, rendono il mondo claustrofobico e si propongono come l’unica fonte di verità, o perlomeno la più credibile.

Segreti poteva essere una storia di quattro pagine, mentre, grazie al tocco di Sam Kieth, ne è uscita una di oltre centoventi. Lo stile dell’autore si fa qui più schizofrenico e postmoderno (postmodernista?) rispetto al Kieth che avevamo apprezzato (a dir la verità nemmeno tutti lo avevano apprezzato) nel primo storyarc del Sandman di Neil Gaiman, in The Maxx, o sulle pagine di Venom. Segreti sembra il frutto della lezione di un grande autore come Bill Sienkiewicz, per la molteplicità di stili utilizzati e per li modo in cui l’autore riesce a farli convivere. Il tratto usualmente nevrotico e inchiostrato di Kieth si trova dunque a convivere con una sua estremizzazione più acida fatta di macchie, graffi e scarabocchi, ad una colorazione tradizionale si affianca una colorazione digitale, verso un processo sincretico in cui le due cose si fondono accanto ad inserti fotografici, stereotipia delle immagini, deformazioni digitali, scritte dal sapore urbano che ricordano quelle che compaiono su muri, bagni, manifesti. Questa multiforme espressività, mescolata allo stile fortemente riconoscibile di Kieth e al suo modo di gestire la tavola (che fonde una gestione tradizionale all’uso di doppie splash page e a una gestione più dadaista della pagina) aiuta il lettore a calarsi in un’atmosfera di disagio che è propria del suo tempo, in cui tutto è rapido, in cui non c’è più un orientamento unico ma ci sono infiniti punti di riferimento che si sommano, si contraddicono, si distruggono, creando se possibile un disorientamento ancora più grande; una società in cui la manipolazione dei valori per mano dei media li ha stravolti a tal punto che il buono sembra cattivo e viceversa, il giusto sbagliato, e tutto si appiattisce e si livella all’interno di una cornice in cui passato e futuro coesistono. Per questo il Joker, che col passare degli anni incarna sempre più la dissociazione mentale della società contemporanea, si fa villain d’eccezione, ergendosi al di sopra del sistema dell’informazione e manipolandolo; un Joker che rare volte è stato reso così frammentato, inquietante e iconicamente potente.
Ritornando a bomba sulle dinamiche espressive e sul rapporto tra passato e futuro, è interessante notare come in Segreti il passato e il futuro dell’espressività grafica fumettistica si uniscano in un divertissment dell’autore che, in un volume fortemente caratterizzato da uno stile che non si affermerà prima della fine degli anni Sessanta (si pensi ad Alberto Breccia e al suo Eternauta, o al già citato Sienkiewicz, che si serve di questo pastiche postmoderno solo diciassette anni dopo il lavoro di Breccia) sceglie di omaggiare The Spirit di Will Eisner realizzando un titolo integrato con la tavola (la parola “Secrets” viene disegnata come se fosse un vecchio palazzo di mattoni rossi, sul cui fianco compare la scritta “Will rules”) e dando a Mooley Williams l’aspetto del Commissario Dolan, capo della polizia di Central City.
Poteva essere una storia di quattro pagine. Il buono sta tutto nel valore aggiunto, nello scavo, che poi è quello che ho imparato ad apprezzare in casa DC. Una storia che aggredisce il suo tempo. Una storia che, senza ombra di dubbio, vale la pena di leggere e rileggere.

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