lunedì 13 luglio 2009

THE WALKING DEAD

THE WALKING DEAD (2003-2009; edizione italiana 2005-2009, Saldapress, brossurato, 144 pagine bianco, nero e toni di grigio, € 11,50).
Sceneggiatura di Robert Kirkman, disegni di Tony Moore.


Al di là della pentalogia (presto esalogia, e con molta probabilità n-logia) di George Andrew Romero e poche altre cose, l’impressione è che sugli zombie ci sia poco altro da dire, e molto di quanto sia già stato detto sia superfluo.
Con un certo grado di consapevolezza il mondo del fumetto questo deve averlo recepito, perché se si eccettuano le storie comparse sui periodici E.C. Comics (Haunt of fear, Tales from the crypt, Vault of horror) e, in generale, quelle del revival horror Creepy ed Eeerie, oppure il vecchio Simon Garth di Marvel Comics e qualche numero di Dylan Dog, niente è stato scritto sugli zombie. Una serie (recentemente riproposta) e qualche storia, dunque, cui si aggiungono in tempi più recenti le storie dell’universo Marvel Zobies, di scarso impatto.

Consideriamo per un attimo la figura dello zombie. Uno zombie è una persona morta e risorta dopo una certa quantità di tempo, sufficiente ad impedirgli qualsiasi tipo di ragionamento e di azione che non sia fondamentale all’autosostentamento, vale a dire a mangiare carne, non necessariamente umana. La giornata tipo dello zombie inizia nel momento in cui questo si risveglia dalla morte e finisce quando qualcuno gli pianta una pallottola in testa, o gli sfonda il cranio, per dire, a colpi d’ascia.
Ne converrete che con queste premesse non è possibile farci molto, tantomeno sviluppare la figura. A meno di chiamarsi George Andrew Romero.
O a meno di chiamarsi Robert Kirkman. E finalmente arriviamo a The Walking Dead, che ha il pregio di affrontare la materia zombesca in modo originale e “attuale”. Quello che fa l’autore, infatti, seguendo la direzione indicata da Romero, ma perfezionata ed espansa, è di curarsi il meno possibile del fattore zombie e mostrarci come reagisce una piccola comunità di sopravvissuti al continuo ritrovarsi circondati da zombie. Kirkman non si preoccupa minimamente di indagare il come e il quando sia partita la zombificazione, né se il processo sia di tipo scientifico, magico o deterministico, ma lo assume come elemento che da un determinato momento diviene una costante e, di lì, lo considera come verrebbero considerate le zone verdi in una cittadina: ci sono, fanno quello che normalmente fanno gli zombie e stop.
È a questo punto che prende avvio il processo narrativo e di scavo operato dagli autori, che ci mostrano il cammino per la sopravvivenza di un piccolo gruppo di sopravvissuti, la loro reazione all’”invasione”, a una nuova vita che si presenta come una fuga continua, priva dei privilegi che ormai una società capitalizzata da per scontati. Paure, amori, diffidenza, regolamentazione, responsabilità. Il problema del cibo, di una sistemazione, di un ritorno ad uno status quo, possibilmente a qualche comfort, la sicurezza. Ma anche l’insicurezza, il richiudersi sempre più su se stessa di una piccola società che lentamente ma inesorabilmente slitta nella paranoia e schizofrenia, nel dubbio.
Un’opera madornale, tutt’ora in corso di pubblicazione negli Stati Uniti, resa ancora più potente dai grigi di Tony Moore, che sembrano voler fare riferimento al primo Night of the living dead o ai fumetti E.C.
Una serie che, con un lavoro continuo di ridefinizione identitaria, ci rende consapevoli di come siano gli esseri umani ad essere i morti viventi, incapaci di sfuggire alla morte e, di conseguenza, al ritorno. Ma se, dunque, noi siamo i morti viventi, se la società ci ha completamente rimbecilliti, riempiendoci occhi e orecchie di cultura spazzatura, di regole e leggi talvolta assurde; se siamo noi quelli che spesso vanno avanti per inerzia, lavorando per un mondo migliore per gli altri, paralizzati negli schemi fissi di una vita che ormai ci siamo convinti non poter essere in un altro modo; se siamo noi quelli talmente ammassati l’uno sull’altro da ritrovarci, paradossalmente, isolati l’un l’alto, allora qual è la via d’uscita? Rassegnarsi ad essere ingranaggi e attendere l’estinzione? O un colpo in testa? Chissà che prima o poi Kirkman, dopo tanta minuzia d’analisi, non ci riveli anche come venirne fuori, o perlomeno come provarci.

2 commenti:

Dino ha detto...

personalemte ho trovato il primo volume un pò noioso e non molto originale. ma continuerò a seguirlo per curiosità speranzoso in qualche colpo di scena

alfredo goffredi ha detto...

Dino, scusa se ti rispondo così tardi.

Io credo che l'originalità di TWD stia nel fatto che non sia una tradizionale storia di zombie. Gli zombie vengono utilizzati anche qui come reagente, che mette la società nella situazione di guardarsi allo specchio; la forza del racconto di Kirkman [che, in precedenza, io personalmente ho trovato soltanto in Romero, ma nemmeno in tutto] è il modo in cui segue la sua piccola comunità di umani sopravvissuti e in lotta per sopravvivere. è come la analizza, come ne cura ogni reazione e come la fa piano piano degenerare verso qualcosa che necessariamente ha bisogno di reinventarsi.
Se sceglierai di continuare vedrai come gli zombie ad un certo punto diventeranno di contorno a una storia più grande fatta dalla somma delle storie individuali dei personaggi e di quelle che si intrecceranno con le loro.
Senza contare che [e ripeto, è sempre un parere mio, poi è ovvio che magari a qualcuno possa non piacere] penso sia la cosa scritta meglio da Kirkman.

Dino, il mio consiglio è: tieni duro per un po', e soprattutto non avercela con me se non ti dovesse piacere ;)