giovedì 16 luglio 2009

THE BOYS

THE BOYS (2008, Panini Comics, brossurato, 128 pagine a colori, € 13).
Sceneggiatura di Garth Ennis, disegni di Darick Robertson.


I supereroi sono il male. Non è il grido di battaglia di qualche editore particolarmente snob votato all’introspezione ma il messaggio di fondo del nuovo frutto della mente di Garth Ennis. Momento finale (per ora) della parabola ennisiana sulla figura del supereroe, The Boys è una serie irriverente e sboccata che ruota attorno all’immagine del supereroe come qualcosa di negativo.
I Boys sono una squadra segreta al soldo del governo americano, diretta da Billy Butcher, il cui compito è trattare il problema dei supereroi, la cui leggerezza si sta rivelando essere, più che un aiuto, un problema e un pericolo per la comunità. Lo sa bene Hug “Wee Hugie” Campbell, ultimo ad essere reclutato dopo la morte della sua ragazza per mano di un distratto eroe dalla supervelocità.
Il primo volume edito da Panini raccoglie i primi due archi narrativi del nuovo e irriverente lavoro di Garth Ennis, The name of the game e Cherry; se la prima storia altro non è se non la ricostruzione del team (che, assieme a Butcher e Hug comprende the Frenchman, the Female e Mother’s Milk), la seconda è maggiormente incentrata sui Sette, gruppo di supereroi, e su Cherry e il suo provino per entrare nella squadra.

Quello che emerge, sostanzialmente, è la piena sfiducia nei confronti dell’eroe e di quello che egli rappresenta. I Sette vengono presentati come figure negative e immorali, sessiste e interessate maggiormente al tornaconto economico della loro eroica vita piuttosto che a fare il bene della comunità. Anche per questo motivo la loro attenzione, durante lo svolgimento di una missione, si concentra sul nemico e non sull’ambiente circostante, causando danni a edifici e persone. Due punti nodali sviluppati, a suo tempo, nell’X-Force/X-Statix di Milligan e Allred (incentrato sulla spettacolarizzazione televisiva del supereroe) e nella maxisaga Civil War, scritta da Mark Millar e disegnata da Steve McNiven. Il supereroe, dunque, non è più mal indirizzato o potenzialmente utile a seconda del proprio libero arbitrio. L’eroe è pericoloso e deviato, addirittura corruttore morale, interessato soltanto alla soddisfazione degli istinti più bassi, come rivelerà il “test” di Cherry per entrare nei Sette.
Squalificando l’icona dell’eroe, tuttavia, Ennis ne distrugge il mito e il motivo fondante. In passato gli eroi avevano combattuto battaglie giuste, ispirando al patriottismo e divenendo, di fatto, il simbolo della lotta per la libertà e per la sicurezza, nonché emblema del paese che più incarnava questi valori negli anni Quaranta e Cinquanta. Con il passare del tempo e delle amministrazioni, e l’intaccarsi del sogno americano, tuttavia, gli eroi sono andati sempre più allo sbando, inseguendo nemici in un’escalation di autoreferenzialità culminante in primo luogo nel rapporto con un villain non più interessato alla dominazione o alla ricchezza ma semplicemente all’annientamento dell’eroe di turno (poco importa se questo comporta morti e distruzioni collaterali), e in secondo luogo a futili scontri tra eroi in nome di una visione delle cose piuttosto che di un’altra. Il pericolo insito nella figura degli eroi, dunque, è da ricercarsi nell’assenza di una linea guida, che li porta a doversene creare di proprie, con il rischio che queste entrino in conflitto. Dunque gli eroi non rappresentano più il paese, la popolazione, il sogno, ma rappresentano se stessi, rappresentano il singolo, con tanto di vizi, debolezze e aspirazioni personali. Ed è in una situazione come questa, in cui la gente non riconosce l’operato dell’eroe e delle istituzioni cui questi dovrebbero far riferimento, che è la stessa collettività, ma sotto forma di élite, a decidere di salvaguardarsi dal proprio paese. Una critica forte, in questo senso, all’amministrazione di un paese che ha voltato le spalle ai molti problemi della popolazione negli ultimi anni (sia problemi di integrazione, di istruzione, che problemi economici o legati all’aumento dell’attività criminale o, ancora, problemi di prevenzione e ricostruzione legati a calamità naturali), nel vano tentativo di inseguire una guerra (e un forzoso processo di democratizzazione/assimilazione/dominazione) già inizialmente dalla difficile vittoria.
Una serie fortemente metaforica e dai molteplici livelli di lettura, The Boys, esemplare di un modo di fare fumetti di stampo tipicamente britannico, come è possibile vedere nelle opere di autori come Mark Millar, Pat Milligan, o di autorità del fumetto come Jamie Delano, Neil Gaiman o Alan Moore.

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