giovedì 28 maggio 2009

ANIMAls nr.1

ANIMALS n.1 (2009, mensile, Coniglio Editore, spillato, 98 pagine a colori, € 5).


Maggio 2009 regala all’Italia una nuova rivista sul fumetto. Controllando gli articoli troviamo autori affermati accanto ad altri sicuramente minori. Ci sono autori del calibro di Gipi, Davide Toffolo, David B. e Vanna Vinci. Così, tra un’illustrazione di Lorenzo Mattotti, un’intervista a Henning Mankell e fumetti che si impongono immediatamente all’attenzione, come Rue des Rosiers di David B. e il postmoderno Cesare di Bastien Vivès, con una menzione particolare per il breve ma subito spassoso Suberoi di Tuono Pettinato, si giunge in fondo al primo numero di una rivista di quelle che non si vedevano da molti anni.

Dalla chiusura delle ultime riviste “storiche” del fumetto italiano, parlo di Eureka, L’Eternauta e Corto Maltese tutto quello che era rimasto, se si fa eccezione per le bimestrali e prematurametne decedute Orme e Brand New di Flash Books e la trimestrale Mono di Tunué, era un Linus in modalità “vetrina di comics statunitense”.
È stata, così, una sorpresa trovare in edicola questo primo numero di ANIMAls. Il sottotitolo recita “fumetti, storie, la vita e nient’altro”, ed è presto per dire se questa aspettativa sarà disattesa o meno, fattostà che le premesse ci sono e sono buone. Del resto è lo stesso momento storico incerto e confusionario che viene incontro ad un’operazione come questa, e che è forse il motivo per cui gli anni Novanta ne sono stati poveri. Attraverso una rivista simile gli autori che prima vendevano dagli scaffali di una libreria, specializzata o meno, ora scendono sul campo – un campo a dir poco devastato – dialogando direttamente dal ripiano dell’edicola, strizzando l’occhio ad un pubblico più vasto di quello che, per i più vari motivi, scelgono di non riempirsi la casa di costosi volumi. Non bisogna poi dimenticare che, in un paese in cui il fumetto è da molti considerato qualcosa da leggere in bagno (sigh!) la poca maneggevolezza di un grosso volume cede il passo ad un più maneggiabile albo Bonelli o Disney.
La rivista, invece, già per il suo formato e per la sua frammentazione interna è qualcosa in grado di sfidare lo spazio e il tempo. E i tempi. Viene quasi da dire che la rivista a fumetti ha tempi ben precisi per esistere. Gli anni della contestazione, in Francia, furono terreno fertile per la nascita di riviste dal peso fondamentale come Pilote (reinventatasi per l’occasione nei modi, negli intenti e nei linguaggi), mentre il frutto degli anni che ne seguirono, e che ad essa erano strettamente collegati, furono L’Écho des savanes e Métal hurlant, le colonne dell’avanguardia francese. In Italia, invece, furono gli anni difficili compresi tra la seconda metà degli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta a partorire riviste a fumetti impegnate, quali Il Male, Cannibale, Strix o Frigidaire.

E dunque arriviamo ad oggi, in un momento in cui l’Italia non se la passa esattamente bene. Vuoi per la crisi economica (sia essa vera o presunta, qualcuno ha deciso che dobbiamo comunque pagarne le conseguenze. Vuoi per il periodo caldo di rivolgimenti e cambiamenti politici. Vuoi per i problemi – su più livelli – legati alla situazione lavorativa e ai contratti di lavoro. Vuoi per una sempre più imponente ondata di violenza, da quella manifestamente fisica e sessuale nelle strade a quella subdolamente melliflua dei media. Tempi difficili, dunque, in cui normalmente la classe politica farebbe qualcosa. In cui normalmente l’élite intellettuale farebbe qualcosa. In cui normalmente la popolazione farebbe qualcosa. Invece la classe politica sguazza nei mali del paese e li giostra a proprio vantaggio, la popolazione si cala le braghe e gli intellettuali (categoria in cui, sbrigativamente, inserisco tutti quelli che si occupano di cultura a 360 gradi), non quelli che si rivoltano accidiosi ma quelli che provano perlomeno ad imporre una propria visione delle cose, non riescono a mettersi assieme in una voce che sia sufficientemente grossa da superare il volume dell’interferenza creata dalla risonanza di media e cultura istituzionalizzata.
Però almeno qualcuno ci prova, e sembra che questo ANIMAls sia fatto non solo con la testa ma anche con il cuore; il cuore di chi ne ha abbastanza di vedere che le cose proseguono nella direzione intrapresa senza prendere gli scambi che potevano farle svoltare verso un altro orizzonte.

lunedì 25 maggio 2009

BLATTA

BLATTA (2008, Leopoldo Bloom Editore, 160 pagine in bianco, nero e toni di grigio, € 15). Sceneggiatura e disegni di Alberto Ponticelli.


Prima prova solista per Alberto Ponticelli, che non riesce a non farsi piacere già dall’oro e nero della copertina. E poi è mastodontico. Ha tavole grosse e disegni veramente potenti. Per non parlare [spoiler!] delle due triple splashpage, fantastiche.
Blatta è la storia di un palombaro. Questa è la prima informazione che ebbi a riguardo, diverso tempo fa, ed era impossibile non esserne incuriositi.
Blatta è la storia di un clone in una tuta da palombaro che passa le giornate chiuso in una piccola stanza (a far cosa non ci è dato saperlo) o in un’altra stanza, in cui lavora.
Ma Blatta è anche una storia di possibilità e di scelte, colte e non, giuste o sbagliate che siano, che getta uno sguardo alla nostra società, una società in cui il singolo è sempre più chiuso in sé, mentre quello che gli sta attorno decade, si corrompe, marcisce, muore.
Blatta è questo e molto altro, e in verità altro ancora. È una storia interattiva, nel senso che offre al lettore una possibilità di interazione e di spiegazione poiché, al di là di una serie di elementi insindacabilmente riconoscibili, contiene elementi, simboli, situazioni variamente interpretabili e lasciati (volutamente o meno) alla libertà interpretativa del lettore.
Un fumetto che fa pensare, Blatta, necessariamente; a meno di avere una patata germogliata al posto del cervello, perché gli interrogativi sono tanti e le risposte non sono di egual numero. Il lettore non può arrivare in fondo senza aver almeno azzardato quale sia il contenuto della valigetta, il senso degli incubi/allucinazioni, il perché delle scelte del protagonista. E il ruolo della blatta.
Si perché in Blatta c’è una blatta (ma dai? … beh, poteva anche non esserci, che vuol dire?), che indossa i panni, se vogliamo, dell’aiutante proppiano che fornisce al protagonista il mezzo per superare l’ostacolo, ossia la sua statica condizione di ingranaggio.
Niente, tranne poco, è dato per scontato. Molto e lasciato libero. E io continuo ad essere convinto che la blatta, in realtà, sia immaginaria. Si potrebbe parlarne per ore dicendo il vero o solo avvicinandosi, e ancora resterebbe qualcosa da dire, e allora se ne dovrebbe parlare ad oltranza.

Ora, se avete letto Blatta, il mio consiglio è di andare sul sito di Alberto Ponticelli (il link è qui a fianco, tra le letture consigliate) e cercare tra i suoi aggiornamenti i link delle varie recensioni e interpretazioni.

giovedì 21 maggio 2009

JONAH MARTINI

JONAH MARTINI (2008, Edizioni ReNoir, brossurato, 96 pagine in seppia, rosso e colori, € 12). Sceneggiatura di Alex Crippa, disegni di Alfio Buscaglia.


Jonah Martini, ovvero Le Missionaire, ovvero il ritorno di Alex Crippa.
Jonah Martini non è quello che vi aspettate. Non importa cosa in realtà vi aspettiate, non è quello.
1938. L’apparizione di un angelo nel monastero di Montelago e la conseguente guarigione di undici malati di colera attira l’attenzione della Chiesa di Roma. Viene così inviato un “indagatore dei miracoli”, come lo stesso Martini si definisce, a cercare di far luce sulla verità; una verità sepolta sotto la chiusura dell’ecosistema di un piccolo paese, sotto la dittatura fascista, sotto le tradizioni mistiche di una piccola comunità rurale e sotto i suoi segreti più intimi.
La ricerca di Jonah Martini è tuttavia una doppia ricerca. «La Fede non si spegne da un giorno all’altro. Non puoi congedarti quando vuoi. Dio non è un esercito da cui puoi disertare. Tanto tempo fa il Signore mi ha chiamato e io ho risposto. Io non ho abbandonato Dio e Lui non ha abbandonato me. Ma la sua voce, ora, mi giunge lontana. Troppo lontana». Con queste parole (pag. 6) è lo stesso protagonista a confessare al lettore i propri dubbi. La scrupolosa indagine del miracolo di Montelago, di conseguenza, diviene molto più che una ricerca della verità, poiché ad essa è legata l’identità stessa dell’ex missionario.

Continua così il percorso di scavo di Crippa, come già in 100 Anime, Nero, il potente Come un cane e nella sua ultima fatica, il palindromo ArcasacrA.
Scandita dal monologo interiore del protagonista, in modo scorrevole ma dettagliato e assolutamente gradevole alla lettura, la storia si sviluppa attorno alla doppia ricerca da lui condotta, alla ricerca di una verità che può essere scomoda e meno piacevole di una “bugia bella”, ma che nonostante tutto egli persegue più per sé che per le gerarchie ecclesiastiche.

Accanto a Crippa la mano di un veterano del fumetto italiano. Non conosco molto, mea culpa, l’operato di Alfio Buscaglia, già disegnatore di 100 Anime, ma ho molto apprezzato il suo bianco e nero nell’ormai antica miniserie Goccia Nera (Star Comics). Espressivo nella sua semplicità e pulizia di tratto, potente nelle vedute e nelle ambientazioni, evocativo nelle sequenze abbozzate che fungono da flashback, Buscaglia dimostra di essere un autore efficace sia nella quiete delle scene tranquille che nella concitazione di quelle di azione o di ricerca. Sua anche la colorazione che si fa apprezzare soprattutto nelle ambientazioni. L’edizione di ReNoir propone ai lettori italiani una virata in toni seppia della storia, che ne accresce il senso di realismo e di aderenza al periodo in cui è ambientata. L'eliminazione del colore (eccezione è la tavola di appunti a pagina 50) mette ancora più in risalto le tre scene ambientate nella camera oscura, mantenute in un rosso dal peso simbolico quasi milleriano, accrescendo il significato dei momenti nodali della ricerca.
Non amando tuttavia (salvo casi eccezionali) la colorazione in digitale, mi riesce difficile innalzarla al livello del disegno dell’autore, per la sua sostanziale omologazione ad un uso tradizionale del colore, laddove è la novità dello stesso mezzo, io credo, ad esigere un suo utilizzo innovativo; senza scomodare i mostri sacri penso, più semplicemente, ad un autore come Frazer Irving, la cui sapiente stratificazione continua di layer porta ad effetti veramente notevoli. Ma forse è solo una questione di gusti.

Quello che ne esce è fumetto piacevole da leggere e in grado di far riflettere. Punto di forza è un personaggio dal grande spessore psicologico, una sorta di anziano Dylan Dog (a cui la formula “indagatore dei miracoli” altro non è che un omaggio) meno spaccone ma più tormentato dal vuoto. La scomparsa (totale o parziale) di Dio diviene, come del resto nel romanzo novecentesco, scomparsa di senso sul piano della realtà, trasferito nell’interiorità. Da qui l’indagine. Da qui la ricerca di un “io”, sia esso immutato, evoluto o involuto, come conseguenza di una perturbazione causata da una situazione di crisi. Allo stesso modo del romanzo (quale di fatto è) Jonah Martini narra il cammino di ricostruzione di un io e di una verità che si trova tra gli strappi della realtà.

lunedì 18 maggio 2009

MIND THE CLOSURE MANIFESTO

Perchè mind the closure?
Il termine closure fu utilizzato per la prima volta da Scott McCloud per indicare gli spazi bianchi tra le vignette di una strip o di una tavola a fumetti. Separando le vignette le closure, allo stesso tempo, le collegano, divenendo così gli spazi in cui il lettore collabora con l'autore (o gli autori) alla creazione del senso di movimento e di sviluppo di una sequenza o di una storia. Le closure, quindi, custodiscono il processo mentale che permette al lettore di godere del fumetto.

Da sempre ci hanno detto che il fumetto è una forma di intrattenimento.
Sacrosanto. Niente da obiettare. Fumetto, comic(x), bande dessinée, manga, historieta sono forme di intrattenimento allo stesso modo in cui lo sono la narrativa, il cinema eccetera.L'errore è che venga considerato SOLO in questi termini; senza poi dimenticare gli storici dibattiti circa il suo essere un prodotto, a seconda di luoghi e momenti, infantile / corruttore / malvagio / fascista / comunista / spazzatura.
Prestando maggiore attenzione è possibile rendersi conto di come il fumetto possa rappresentare un importante veicolo di cultura, in grado di raccogliere e risollevare un sistema culturale ormai asservito alle leggi del mercato e dello spettacolo.
Grazie all'unione di testo, immagine, sequenzialità e, soprattutto, di un solido impianto contenutistico che attinga dal reale e dalla cultura (e non dalla spettacolarizzazione di contenuti banali o presuntamente reali) il fumetto riesce così a dialogare con il lettore e ad offrirgli una chiave di lettura del mondo che lo circonda e un orientamento all'interno della realtà.
In tanti hanno cercato di definire il fumetto chiamandolo opera d'arte, svago, prodotto di massa, cazzata, arte sequenziale. Io credo che, tra tutte le definizioni autorevoli o meno, la migliore sia quella di Gianni Rodari, che definì il fumetto nient'altro se non un nuovo modo di raccontare storie.

Mind the closure farà da guida nel mondo del fumetto proponendo una propria direzione e una propria chiave di lettura.
Acquistate il biglietto e salite a bordo, ma fate attenzione allo scalino.